In questi giorni ascoltando la radio sentivo come se mancasse qualcosa. Come se si rimanesse in superficie.

 

Chi è Cacciapaglia? So solo che è un compositore, e che io lo adoro. Ho un fortissimo legame emotivo con lui: non lo conoscevo, ma un’amica mi aveva passato quattro sue canzoni, che mi hanno accompagnata per tutto l’arco delle superiori, ascoltate con il buon vecchio lettore mp3, nel tragitto di andata e ritorno da casa a scuola sul bus. Non c’è altro da aggiungere.

Fatto sta che, a distanza di sei anni, mi torna all’orecchio un nome familiare: scopro del concerto di Cacciapaglia il 19 marzo a Verona al teatro Camploy. Un tuffo al cuore. Dovevo andare.

Da persona super impegnata (o forse solo pigra) non mi informo minimamente sul tipo di concerto che terrà. Quindi entro in teatro, e continuo a pensare a come la sua musica abbia segnato una parte della mia vita, e mi chiedo quali nuove melodie andrò ad ascoltare. Mi piacerà ancora? Sarà una sonorità familiare? Oppure mi farà assolutamente schifo? L’unica cosa che scopro è che sarà un’esibizione per pianoforte.

cacciapaglia before 2

Il concerto si apre con Davide Friello e il suo dolce e potente hang drum. Un bel modo per creare l’atmosfera adatta a introdurre il maestro. Chissà cosa mi aspetta

Poi, eccolo. Con lui il violoncellista Enrico Guerzoni e alla pianola/mixer Gianpiero Dionigi. Si siede. Appoggia le mani sul pianoforte. E ho un tuffo al cuore. Perché la melodia che suona mi è estremamente familiare. E mi riporta immediatamente dentro l’autobus, mentre sto andando a scuola e penso se ho studiato tutto e fatto i compiti, mentre guardo le bellissime montagne in lontananza.

Poi succede qualcosa, e non me lo so spiegare. Vengo raccolta da delle mani che mi sollevano, e ora sono una brezza leggera, che soffia tra gli alberi di un bosco, respirando l’odore di montagna. Che poi risale, sempre più fredda, fino alle cime innevate, tra i ghiacci. C’è freddo, ma è tutto limpido, silenzioso, sospeso.

E poi soffio in mezzo al mare, sento la voce delle sirene che cantano, e mi immergo fino a raggiungere le profondità, ed è tutto scuro, e vado sempre più veloce, fino a riemergere come spuma, a riva, e ricominciare a soffiare, sibilando, in mezzo al deserto. Il caldo, la sabbia che si solleva e prende la mia forma, il cielo azzurro contro le dune arancio.

E poi è ancora verde, una foresta. La forte umidità, i grandi fiori rossi e gli animali straordinari. E io non smetto di soffiare, ma questa volta piano. Mi lascio accarezzare dalle larghe foglie delle piante tropicali. Risalgo le alture, la natura incontaminata, verde smeraldo, che si estende a vista d’occhio. Ammiro l’eruzione di un vulcano.

E poi arrivo in città, c’è casino, sento la solitudine. E poi di colpo faccio un salto dentro me stessa. E mi sento. Ascolto la storia di un ragazzo, le sue avventure e il desiderio di suicidio. Poi Cacciapaglia mi prende per mano.

E mi ritrovo a danzare. E poi neonata, in una culla di vimini, sospesa su un fiume, di notte, con la luna piena, tra le ninfee. Vengo trasportata dalle onde. E poi cresco, libera. Infine mi perdo, fino a scomparire. Per poi tornare sotto forma di suono.

E poi volare, tra le montagne. Finalmente libera.

 

Che cazzo è appena successo.

Per fortuna che il maestro (come se avesse già capito di dover dare una spiegazione a tutto questo), finito l’ennesimo bellissimo brano, prende il microfono e spiega:

“Quando parlano della mia musica, dicono che fa rilassare, e a me fa piacere! L’importante però è ricordare che rilassarsi non serve per addormentarsi, ma per svegliarsi.

La musica ci riporta a questo stato che dura poco ma è profondo e ci appartiene, e penso sia importante. Soprattutto in quest’epoca, che viviamo molto in superficie. Abbiamo tutti tanto da fare, ma non c’è bisogno che spieghi, già sapete.

E per esempio la musica è uno strumento che viviamo come un salvagente, spesso in superficie, e rimane così. Invece è un’arte che merita di più, dovremmo essere un po’ come dei subacquei che vanno in profondità, in questa arte, e possano raccogliere le cose preziose, che ci regala”.

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Parla di come la musica faccia vivere un attimo fuori da tempo, e dei suoni armonici, che Pitagora definisce l’essenza della natura e dell’universo.

Continua parlando del suo lavoro e di come l’abbia sviluppato: a livello esterno il lavoro è stato quello di adottare una strumentazione estremamente tecnologia che amplifica il suono degli strumenti musicali, rendendo udibili all’orecchio umano quell’onda che il suono crea espandendosi (in pratica come quando si lancia un sasso in un laghetto, che produce dei cerchi con l’acqua). Parla di autostrade energetiche, di come approfondire la relazione attraverso il suono.

“Dal punto di vista interno, invece, il lavoro è sull’essere presente mentre si suona, avere consapevolezza dei propri gesti e del contatto con lo strumento. Se io sono presente, raggiungo un certo grado di profondità, e queste note, che sono sferiche – sono come dei mondi -, dentro queste note c’è un contenuto, più sottile, che va a incontrare voi, che siete all’ascolto, e allora ci si trova, attraverso il suono, a toccare dei punti che di solito non frequentiamo molto spesso.

Ecco, questo è un po’ quello che stiamo facendo, e sappiamo che possiamo fare questo lavoro, attraverso l’etere. Comunque, adesso ho parlato troppo, e facciamo un altro pezzo”.

 

Ah, ecco cosa mi mancava, ascoltando musica alla radio.